Il progresso sociale oggi e domani: Valutazioni e prospettive dal gruppo di studio internazionale sul Progresso Sociale (IPSP)

Gianluca Grimalda e Gianpaolo Rossini illustrano alcuni contenuti del Rapporto del Panel Internazionale sul Progresso Sociale (IPSP), un progetto interdisciplinare di valutazione del progresso sociale nel mondo che coinvolge 300 studiosi. Dei tre volumi del Rapporto, Grimalda e Rossini prendono in esame il primo, dedicato agli aspetti economici, soffermandosi sulle concezioni di progresso sociale e sul disallineamento tra benessere soggettivo ed oggettivo nei Paesi ricchi. Inoltre, commentano l’andamento delle disuguaglianze economiche a livello nazionale e globale.

L’International Panel on Social Progress (IPSP) è un’iniziativa che coinvolge circa 300 studiosi di diversi continenti. Obiettivo primario di IPSP è l’elaborazione di un progetto di progresso sociale che sia a lungo termine, globale e condiviso, da diffondere mediante un Rapporto che verrà pubblicato da Cambridge University Press a maggio 2018 e che è attualmente disponibile sul sito www.ipsp.org. I temi individuati sono una ventina: dalle tendenze del progresso sociale e i suoi punti di riferimento alle trasformazioni socio-economiche, dal governo e le politiche del cambiamento alle caratteristiche culturali e sociali del progresso e alle idee di trasformazione emergenti.

Tenendo conto della complessità dei temi, IPSP ha impostato il Rapporto secondo un’ottica pluridisciplinare, adottando un approccio sistemico e globale all’analisi del progresso sociale. Le competenze economiche e di scienze politiche o sociali sono state integrate con quelle nelle discipline umanistiche (ad es., filosofia, legge), nonché con saperi che sono solitamente collocati nelle scienze esatte e nelle tecnologie (ad es., ingegneria, sanità), o possono fare da cerniera fra le scienze naturali e quelle umane (ad es., psicologia, antropologia), così sfumando i confini fra le diverse discipline. Questa scelta strategica nasce dalla convinzione che un approccio analitico mono-disciplinare non possa essere in grado di cogliere adeguatamente la complessità dei processi sociali in corso e la loro evoluzione nel prossimo futuro.

Per valorizzare le diversità di punti di vista nell’esame della complessità si è compiuta la scelta metodologica di “accordarsi di essere in disaccordo” (M. Fleurbaey). Questo approccio multipolare ha coinvolto diversi attori sociali e la stesura del Rapporto – realizzata in due fasi – . Infatti, la prima fase si è conclusa all’inizio del 2017, con la messa in rete delle versioni preliminari dei capitoli e la richiesta di commenti, di cui si è tenuto conto nella stesura finale.

Per queste caratteristiche, IPSP appare in sintonia con altre iniziative globali di approccio sistemico alla valutazione delle condizioni in cui viviamo e alle prospettive di cambiamento. I riferimenti principali sono il Panel Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC) e la Piattaforma Intergovernativa per la Biodiversità e i Servizi Ecosistemici (IPBES) delle Nazioni Unite. In prospettiva, un collegamento strutturato fra queste iniziative appare auspicabile per una visione ancora più integrata e unitaria del progresso umano.

In questo articolo, e nel successivo che verrà pubblicato sul prossimo numero del Menabò, presenteremo i principali contenuti del primo volume del rapporto, che si concentra sulle trasformazioni socio-economiche.

Cosa è progresso sociale? Questa è forse la domanda centrale di tutto l’IPSP, e se il lettore si aspettasse una risposta univoca a tale domanda resterebbe deluso. Ciò che il Rapporto (cfr. Capitolo 2) offre sulla definizione del progresso sociale è invece una “bussola”, piuttosto che un’unica formula o un singolo indicatore a cui ridurre il progresso sociale. Non potrebbe essere diversamente. La varietà di visioni su cosa sia progresso sociale, non solo nel mondo accademico, è tale che un ipotetico tentativo di giungere ad una definizione omnicomprensiva è destinato a fallire. L’accettazione del pluralismo nella visione del progresso sociale non significa tuttavia cadere nel relativismo, per il quale tutto ciò che appartiene ad una cultura differente dalla nostra è insindacabile. Esiste invece un principio fondativo per la società giusta che sembra essere condiviso dalla maggioranza delle società umane, e che è presente in varie dichiarazioni dei diritti umani, e anche nella recente Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Questo principio è l’eguale dignità degli esseri umani. Il concetto di dignità implica che la società riconosca l’individuo come soggetto meritevole di diritti. L’essere “degno” non è tanto una proprietà del singolo, quanto della società nel momento in cui concede rispetto a ciascuno. Richiedere uguale dignità significa garantire benessere individuale e libertà, sicurezza e solidarietà, giustizia distributiva, equità e partecipazione nella società democratica. Il principio dell’uguale dignità è in contrasto con qualsiasi forma di discriminazione basata su razza, etnia, genere, età e posizione sociale. In base a tale principio, lo stesso accesso alla comunità nazionale da parte degli immigrati diviene un diritto universale che non dovrebbe essere soggetto a limitazioni. Le migrazioni danno infatti l’opportunità di realizzare la propria persona e i propri piani di vita, a tutti i cittadini del mondo, e non solo a quelli che nascono nelle nazioni più ricche..

Nel Rapporto si valutano inoltre in dettaglio i principi di giustizia sociale e l’oggetto a cui tali principi vengono applicati e si considerano sia teorie del benessere soggettive, basate sulle percezioni individuali, che oggettive, fondate su indicatori quali reddito, consumo, aspettativa di vita, accesso a sanità.

Considerare ambedue i tipi di benessere appare rilevante dato che le due dimensioni non appaiono necessariamente collegate. Numerosi lavori mostrano infatti che i livelli di benessere soggettivo sono cresciuti molto poco nei Paesi ricchi negli ultimi decenni, a dispetto dell’indubbio progresso negli indicatori oggettivi di benessere, in particolare di reddito e consumo pro-capite. Possibili spiegazioni di questo paradosso enfatizzano che il consumo ha una forte funzione di ostentazione sociale che può superare l’utilità intrinseca del consumo del bene. L’ostentazione è possibile solo quando la maggior parte degli individui è esclusa dal consumo di questi beni; quando le possibilità di consumo si diffondono tale funzione si perde e con essa buona parte della soddisfazione associata al consumo. Altre spiegazioni enfatizzano l’assuefazione al consumo e la tendenza ad aumentare le aspirazioni individuali, da cui dipende la soddisfazione (e l’eventuale insoddisfazione quando le aspirazioni non sono realizzate), all’aumentare del proprio reddito o il reddito medio nella società. Il disallineamento fra crescita del benessere oggettivo e soggettivo si verifica principalmente nei Paesi ricchi (Figura 1). Dai dati a disposizione sembra, quindi, che guadagni di benessere soggettivo siano chiaramente possibili per Paesi relativamente poveri, pur essendo il livello di benessere soggettivo estremamente eterogeneo fra paesi.

Il Rapporto dell’IPSP riflette anche sui valori di giustizia che possono ricevere diversa attenzione nelle varie società. Generalmente si distingue tra la necessità di redistribuire “ex ante” (cioè prima dell’accesso ai mercati) o “ex post” (cioè dopo che il mercato ha determinato i suoi esiti), a seconda dell’enfasi che viene posta sulla responsabilità individuale nella determinazione delle allocazioni finali di mercato. Ad esempio, la società statunitense sembra credere maggiormente che il successo economico sia sotto il controllo individuale rispetto alle società europee, da cui consegue una minore richiesta di redistribuzione. Qualsiasi sia la specifica nozione di giustizia sociale seguita, o le molteplici dimensioni ritenute meritevoli di sostegno, è possibile osservarle nel corso del tempo per ravvisarne il loro progresso.

A tal fine, il Rapporto analizza l’evoluzione dei principali indicatori normalmente utilizzati per valutare il progresso sociale, quali l’indice di sviluppo umano proposta dalle Nazioni Unite, vari indicatori di diseguaglianza di reddito e ricchezza o di uguaglianza di opportunità (cfr. Capitoli 3, 4, 7).

Sul picco delle possibilità o sull’orlo di un abisso? Da un lato il miglioramento delle condizioni di vita medie appare innegabile, come mostrano l’aumento dell’aspettativa di vita (Figura 2a), la riduzione della mortalità infantile (Figura 2b) e la crescita del reddito pro capite (Figura. 2c).

Dall’altro lato, però, tale innegabile sviluppo “medio” è stato fortemente diseguale. Nonostante i tassi di povertà (comunque di difficile definizione e misurazione in un’ottica sovranazionale) siano diminuiti in tutti i continenti, vastissime sacche di povertà permangono nell’Africa Sub-Sahariana (Figura 2d). Inoltre, i dati sull’evoluzione della disuguaglianza di reddito a livello nazionale mostrano quella che è stata definita “la Grande Inversione”, con livelli di disuguaglianza che sono prima calati nel corso del ventesimo secolo fino agli anni `80, e poi aumentati successivamente, nella maggior parte dei Paesi Occidentali.

Come documentato da Thomas Piketty nel Capitale nel XXI Secolo, comparando gli attuali livelli di concentrazione di redditi e ricchezza con quelli registrati in Europa negli anni precedenti il primo conflitto mondiale (il periodo con più alta disuguaglianza da quando esistono dati attendibili) si verifica che la quota di ricchezze possedute dal 10% più ricco della popolazione è calato dal 90% al 60-70% nel corso dell’ultimo secolo (Figura 3), ma di tale riduzione sembra aver beneficiato unicamente la “classe media”: il 50% della popolazione più povera possiede il 5% del totale della ricchezza oggi come un secolo fa. Solo nelle società scandinave negli anni ’70-’80 dello scorso secolo si è accresciuta la quota di ricchezza accumulata dai più poveri.

Inoltre, se da un lato la disuguaglianza misurata a livello globale ha mostrato nel corso degli ultimi decenni segnali di riduzione, per effetto della rapida crescita in Paesi popolosi come Cina e India, questa rimane elevatissima – di fatto, tanto alta quanto la disuguaglianza nel Paese più diseguale al mondo, il Burkina Faso. Anche in questo caso, gli individui più poveri al mondo hanno visto la loro situazione reddituale negli ultimi 30 anni rimanere sostanzialmente immutata. La “classe media”, ed in misura estremamente maggiore, quelli che Branko Milanovic definisce la classe dei “plutocrati globali”, hanno invece visto aumentare i propri redditi nel corso delle ultimi tre decadi.

La difficoltà di beneficiare i più bisognosi, e l’inversione nell’andamento delle disuguaglianze si uniscono alla crescente percezione della gravità del vincolo ambientale (cfr. Capitolo 4 del Rapporto). Anche se gli scienziati sono concordi nel sottolineare la necessità di limitare lo sfruttamento delle energie fossili, gli sforzi compiuti a livello politico sembrano essere stati così sterili che esiste il pericolo concreto di avere già ecceduto più di un “livello di soglia” in alcuni ecosistemi naturali con conseguenze potenzialmente catastrofiche. Per queste ragioni, si può pensare che oggi ci troviamo in una situazione in cui le crescenti disuguaglianze economiche e sociali rischiano di rompere la coesione sociale raggiunta da molte società ricche nel secondo dopoguerra, ed in cui il pericolo di catastrofe ambientale imminente pone in serio dubbio che il percorso di rapida crescita economica intrapreso in molti Paesi sia sostenibile.

Nel prossimo numero illustreremo alcune delle proposte dell’ IPSP per un percorso di sviluppo sostenibile da un punto di vista etico, sociale ed ambientale.

Figura 1: Relazione tra soddisfazione individuale media e Prodotto Nazionale Lordo pro capite

Figura 2: Evoluzione di indicatori di benessere

Figura 3: Distribuzione di ricchezza in diversi Paesi ed epoche storiche

Note: I grafici riportano le quote di ricchezze per differenti fasce di popolazione. La “classe dominante” è formata dall’1% più ricco nella popolazione. La “classe benestante” è formata da coloro che occupano i centili dal 10% all’1% nella distribuzione di ricchezza (quindi sono il 9% della popolazione più ricco dopo l’1% più ricco). La “classe media” è formata dalla fascia di popolazione la cui ricchezza è al di sopra del valore mediano ed al di sotto della ricchezza posseduta dal 10% più ricco. La “classe bassa” è formata dalla metà della popolazione più povera (cioè quella la cui ricchezza è al di sotto del valore mediano). I dati per “Europa 1910” si riferiscono in particolare alla Francia, ma sono comuni ad altri Paesi europei per cui sono disponibili dei dati (in particolare, Regno Unito, Svezia e Germania). I dati per “Europa 2010” si riferiscono ad una media dei Paesi europei per cui sono disponibili dei dati.

Fonte: Piketty, Il Capitale nel XXI secolo, Bompiani.

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